ESCLUSIVA Franco Bragagna: “sei politico stiracchiato all’era Giomi, Tortu cambi, Baldini ha sbagliato a dimettersi, grazie alla Biotekna e alla famiglia Boschiero”
Dopo tanti atleti, è il momento di dare spazio ad una grande voce della nostra atletica, il telecronista RAI Franco Bragagna. Il giornalista veneto (nato a Padova ma cresciuto a Bolzano, NdR) ha parlato a ruota libera di giornalismo, atletica e del futuro della regina degli sport, con diverse tirate d’orecchie a tanti addetti ai lavori e con un bel pensiero verso una delle realtà più interessanti a livello societario, la Biotekna Marcon.
Buongiorno Franco, come stai passando questa quarantena?
“Con molto sgravio ferie, ho una montagna di ferie arretrate ed ora sto facendo queste. Qua e là sto facendo qualche singola cosa, avevo avviato un approfondimento sui Giochi Olimpici che ovviamente si è interrotto. Presumibilmente lo riprenderemo nel 2021, prima dei Giochi Olimpici del 2021”
Come ben sappiamo sei il cronista di punta dell’atletica in RAI, quando hai cominciato a fare il giornalista/telecronista? Chi sono i tuoi maestri?
“Ho cominciato che avevo 15/16 anni, in una radio privata di Bolzano – che si chiamava Quarta Dimensione e che faceva approfondimenti articolati sull’atletica e sullo sport – c’era un mio compagno di società che occupava lo spazio dell’atletica, tra l’altro era lo stesso al quale mi ero rivolto per iscrivermi allo stesso ISEF di Bologna. Lo sostituii casualmente perché stava per partire per il CAR, allora il servizio militare era obbligatorio. Mi presentai a questa trasmissione con un pezzo di carta che era non più grande di 10 centimetri, con quattro punti, perché mi servivano per sviluppare certi discorsi. Il responsabile dello sport mi guardò storto perché dimostravo non più di 10-11 anni e mi disse che avevo non più di due/tre minuti. Poi mentre eravamo lì per i due/tre minuti mi disse di allungare e poi di allungare ancora. Alla fine siamo andati avanti per 72-73 minuti, in cui quei punti che avevo messo lì erano stati completamente sviluppati e ho cominciato a parlare di tutto il mondo sportivo, doping o non doping, giochi olimpici e tutte queste cose qui. Uscendo mi disse di dire al mio comune amico Alberto che da quel momento avrei fatto io quella cosa lì. Poi son passato a fare le radiocronache di hockey su ghiaccio, che erano la specialità di punta della radio in quel momento e ho fatto cose. Poi pian piano son diventato praticante giornalista ad una televisione di Trento – che non esiste più – che si chiama Televisione delle Alpi. Ho fatto collaborazioni con Tele Montecarlo in trasmissioni sui giochi invernali e poi nel 1990 son passato alla RAI. Di lì prima RAI regionale, con tutto; cronaca nera, bianca, giudiziaria, amministrativa e lo sport. Siccome la redazione del Trentino era suddivisa in due sub-redazioni provinciali si occupava moltissimo di sport invernali, lì il salto alla Rai nazionale che è avvenuto per i giochi olimpici di Albertville, facendo le specialità più pensate che a Roma erano più difficili da coprire. Da lì il balzo a Rai Sport – che si chiamava ancora TgS a fine 1994, inizi 1995. Nel mezzo alla radio avevo già fatto le Olimpiadi di Barcellona, mondiali di Stoccarda e poi son passato alla televisione. I miei maestri sono…dal punto di vista tecnico Rino Icardi, meraviglioso poeta della radiofonia e mi è sempre piaciuto moltissimo in un’epoca che era meno determinata dalla monografia sul calcio Gianfranco De Laurentiis. Era un giornalista che non si limitava a conoscere il calcio, ma sapeva di tutti gli sport. Io già di mio ero sbilanciato verso altri sport, più che sul calcio che seguivo poco nonostante ne capissi anche qualcosa. Gianfranco De Laurentiis per la capacità di capire di tutti gli sport mi è sempre piaciuto tantissimo.”
Dal 1990 sei in RAI, dunque. Come cronista di sport invernali ed atletica leggera. Come si è evoluto il ruolo di telecronista in questi 30 anni?
“Nella generalità degli sport ci si è spostati – e non sempre doverosamente – dalla telecronaca monovoce ad una a due o più voci, anche il calcio ha dovuto soccombere; soprattutto con grandi maestri come Bruno Pizzul che non amava troppo la telecronaca a due voci, ma si dovette adattare perché pressato nel doverlo fare. Oggi stanno andando nelle televisioni delle telecronache di anni andati, dove si capisce che oggi anche il meno bravo e meno competente dei telecronisti ne sa rispetto alla media di allora, non parlo di tutti, molto molto di più.”
Quanta preparazione e quanto studio c’è dietro ogni singola cronaca?
“Ho cominciato facendomi forza della mia memoria, che io definisco straordinaria. So che posso sembrare assolutamente superbo, ma di fatto è così. Io a scuola ho sempre studiato pochissimo, ma ho sempre vissuto di rendita alla grande, ricordandomi tutto quello di cui si parlava in classe anche quando ero distratto; nel senso che i miei padiglioni auricolari captavano tutto e fu una fortuna, altrimenti quelle cose avrei dovuto prepararle a casa. La memoria mi ha accompagnato sempre. Inizialmente c’è stata – soprattutto nell’atletica, che è per preparazione lo sport più impegnativo – una grande preparazione, poi sono andato col pilota automatico. Bisogna preparare la lista di partenza, devi farti venire in mente le cose, approfondirne altre: ci vuole una notevole preparazione, io in questo son stato facilitato dalla mia memoria e dalla mia preparazione a monte, perché da ragazzino ero un malato non solo di atletica, ma di tutti gli sport.
Olimpiadi di Tokyo rinviate al 2021: è la scelta giusta?
“Sì.” (lo dice con fermezza, senza lasciare spazio ad interpretazioni)
Quali sono i giovani su cui si deve puntare per il futuro?
“Mah, fai presto a dire Filippo Tortu, che io ritengo ancora molto giovane. Lo vorrei però diverso, con un allenatore bravo bravo bravo: credo che il suo allenatore attuale (il padre Salvino Tortu, NdR) abbia ancora da imparare molte cose, anche in termini di educazione. Lo vorrei con più voglia di stare – magari per diverse ore – su un campo di atletica. Non mi convince l’appiattimento delle prestazioni di Filippo, se fai 9″99 in piena crescita biologica e l’anno dopo fai 10″07 non puoi dirti soddisfatto. Non si può andare in giro a menarla che era infortunato: dicevano che era un infortunio terribile, ma io ho l’impressione che non fosse così terribile e che – anzi – gli abbia permesso di tirare il fiato in un momento in cui era messo sotto schiaffo dallo sponsor, che lo induceva a fare molte più gare di quelle che avrebbero voluto. Non mi convince A: il modo di allenarsi e B: il poco che si allena. Credo andrebbe affiancato all’allenatore un altro allenatore con grande esperienza e lui dovrebbe essere decisamente meno pigro. Deve lavorare di più, deve allenarsi, non si può limitarsi al poco che fa, è troppo poco; ed anche questa cosa di accantonare i 200, “boh, ma vedremo, forse..” .i 200 sono la tua destinazione naturale, certo devi allenarti e devi farlo in maniera crescente. Deve rivedere i programmi di vita all’interno del campo. La velocità è chiaro che finalmente ha dato splendidi segnali, con Jacobs e Filippo si può arrivare veramente ad alto livello. Poi qua e là ci sono buoni saltatori, buone saltatrici, la marcia continua ad avere un suo buon livello. Faniel che non sarà giovanissimo, ma lo è in quanto maratoneta, sembra essere di grande prospettiva”
Negli ultimi anni ci sono state ampie critiche alla FIDAL per i risultati scadenti ottenuti nelle varie competizioni internazionali. Quali sono gli errori principali che imputi alla federazione?
“Preambolo: nell’atletica è difficilissimo fare risultati perché tutto il mondo vi partecipa. Stiamo invece vivendo grossi risultati negli sport invernali dove la partecipazione è ridotta. Errori: si è cominciato puntando un indirizzo non immediatamente chiaro. A distanza di quasi due mandati si intravede che le iniziative che furono prese all’inizio del primo mandato di questa presidenza federale, quindi atleti di interesse nazionale a casa coi loro tecnici, la creazione di poli sportivi di reclutamento nelle varie regioni: tutto questo principio è stato disatteso, non perché non abbia funzionato, ma perché non è stato dato mandato che tutto questo venisse sviluppato. Non dico che fosse giusto o sbagliato, semplicemente si sono fornite indicazioni che non esistono e non risultano. Anche la gestione dei pezzi da 90 è un torto della federazione o di chi per lei, perché quando scopri di avere due talenti delle proporzioni di Filippo Tortu e Marcell Jacobs, perché sono veramente fenomenali, devi essere vigile che tutto funzioni e non puoi accontentarti della visibilità e dell’aspetto promozionale che soprattutto uno dei due ti dà. Piano piano si è vissuto anche il periodo di crepuscolo di tutta una serie di buoni atleti, e l’impressione è che si dovrà aspettare ancora, spero non moltissimo, la fioritura di buoni e grandi atleti per un momento di rinascimento dell’atletica. Penso si vivrà dopo il 2021 in poi.”
Tanti talenti azzurri dopo super prestazioni da junior o da promesse hanno bloccato la crescita o si sono persi. Credi che questo sia un errore della federazione, magari imputabile all’assenza di strutture adeguate o di tecnici fortemente preparati?
“Credo sia un’ipotesi plausibile, ci sono forse dei problemi della crescita del talento fino alla stabilizzazione ad alto o altissimo livello, non sono così addentro per dire se ci siano o se ci sono questi problemi, ma qualche problema sicuramente c’è. Nel passaggio dei 21,22,23,24 anni c’è forse qualcosa che non è perfetto, ci vuole molta attenzione anche al gruppo allenatore-atleta in generale.”
Potrebbe essere utile in un futuro affidare il ruolo di tecnico di un settore particolare a degli atleti d’elite come Fabrizio Donato ed Antonietta Di Martino?
“L’equazione grande atleta del passato uguale grande allenatore non sempre funziona. Lì ci vogliono grandi allenatori, se poi i grandi allenatori si chiamano Fabrizio Donato o Antonietta Di Martino, bene, ma non è detto che un grande atleta possa essere anche un grande allenatore: deve passare attraverso un percorso per gradi, deve avere un talento anche in questo e non sempre un super atleta ha anche il talento per accorgersi di alcune piccole cose, eccetera. Ci vuole anche un talento naturale per capire i piccoli e grandi errori: questo determina un grande allenatore da campo, quello che percepisce le cose anche senza magari averle studiate. Ci vuole scienza della metodologia dello studio, ma anche talento per accorgersi delle piccole e grandi cose.
Tu e Stefano Tilli avete criticato aspramente l’operato di Giomi, con Ponchio che provava ovviamente a difendere la federazione.
“Quel momento non fu tanto una critica all’operato, fu una critica ai risultati ottenuti. Il punto più basso nella storia dell’atletica italiana si toccò non tanto alle Olimpiadi di Rio dove chiudemmo con zero medaglie. Spesso in passato il medagliere italiano era stato salvato da colture come quella della marcia o altri settori o da alcune situazioni o episodiche di grandi campioni o talvolta fortunate. Lì si criticava un’analisi – secondo me – fasulla nel definire i risultati dell’atletica italiana in quel momento non così male. Eh no, il punto più basso è stato quello dei mondiali di Londra 2017, dove non si è avuto un risultato che fosse uno, a parte ovviamente Antonella Palmisano che meritava l’oro.
Viene in mente che il primo che ottenne risultati in quella situazione fu Davide Re, quindi c’è la speranza che Davide possa essere possibilità di rinascimento e resurrezione della nostra atletica. La critica era a chi non criticava i risultati scadenti. Il ragionamento è ovviamente come ottenerli. Ma come? Con una struttura federale di che tipo? Questa è la domanda da farsi. Tenendo presente che ho il timore e l’impressione che mediamente la qualità dei tecnici di atletica sia decisamente in ribasso. I tecnici di atletica meriterebbero un riconoscimento anche di compensi all’altezza della situazione. Si continua a vivere in una favola che è del passato ed è una favola farisaica, ovvero che il tecnico d’atletica – e chissà perché – non debba percepire granché: e così tutti i tecnici migliori dell’atletica negli anni son passati ad altri sport, perché hanno famiglia a casa e non possono fare solo gli insegnanti di educazione fisica, ma se c’è possibilità di arrotondare è meglio lo facciano anche altrove. Così abbiamo perso una buona generazione di tecnici. Sono andati ad insegnare sport o preparazione atletica in generale altrove e non sono rimasti nel loro bacino, che era quello dell’atletica.”
Come definiresti in poche parole il doppio mandato di Giomi?
“Ahia… ovviamente lo si aspettava al varco ai giochi di Tokyo. Si era partiti con un certo ottimismo e si è chiuso con un bilancio che può apparire – anzi lo è – brillante in prospettiva, perché quanto è stato fatto nell’atletica giovanile sta piano piano dando i suoi bravi frutti, ma di fatto va liquidato con una stiracchiata sufficienza..? Ed ho il timore che la dovremmo definire politica (quindi un’insufficienza di fatto, NdR). Ma non è Giomi in sé, è tutto il movimento dell’atletica che non arriva al di là di una stiracchiata sufficienza, un sei politico.”
Si parla di posticipare le elezioni al 2021: Malagò lo ha fatto ampiamente intendere, scavalcando di fatto la norma vigente.
“Credo sia una norma che va interpretata, QUEEN (Queen Atletica, ndr) mi pare che l’abbia interpretata molto a modo suo. Fa venire qualche sospetto il fatto che in prima pagina ci sia il programma di un candidato presidente perché ti dà dei soldi e c’è scritto “sponsor”. Le elezioni di tutte le federazioni sportive italiane vanno fatte dopo le Olimpiadi nel 2021, punto. Non ha senso farle prima, cosa fai? Chi si insedia cosa fa? Applica delle nuove idee ed un nuovo programma con i Giochi Olimpici che sono pochi mesi dopo? No. Tutte le elezioni, di tutte le federazioni, checché ne dica anche Barelli , che se può andare conto al presidente del Coni lo fa immediatamente. Vanno fatte tutte nel 2021 dopo i Giochi Olimpici, non ha senso farle prima, non ha senso da un punto di vista pratico più che politico. Perché anche se tu avessi delle ciofeche nei consigli federali di ogni singola federazione, non possono essere sostituite anche dalla persona più intelligente sulla faccia della terra, per modificare cosa, a pochi mesi dalle Olimpiadi? Per tutte le federazioni – salvo ovviamente per il calcio ed altre – il riferimento è la scadenza Olimpica. Ed anche se questa va a 5 anni, vanno fatte il giorno dopo e non il giorno prima. Se non è per legislazione, è per logica. Tu puoi anche prendere un fenomeno che sostituisca una ciofeca di presidente, ma cosa fai in pochi mesi? Puoi programmare se lo fai al termine di un quadriennio Olimpico, che adesso diventa quinquennio, ma la situazione è talmente anomala e di emergenza che non puoi fare le elezioni prima, su dai. Per cosa? Per convinzione? Per impunture? Perché qualcuno soffia sul tuo fumo? Ma su, ma dai. Anche se dovesse essere previsto da una qualche norma, è comunque insensato.”
Stefano Baldini ha lasciato la Fidal nel 2018: potrebbe essere un uomo importante per una nuova ripartenza, visti i risultati con le giovanili?
“Dare le dimissioni è stato secondo me un incredibile errore di Stefano Baldini. Lo sa, glielo dico regolarmente e glielo dico in faccia. A fine campionati europei di Berlino ha dato le dimissioni il responsabile di un settore giovanile pulsante, che funzionava a dovere, quando non toccava a lui. Cioè, sarebbe stato come dire che se l’Italia di calcio non arriva ai Mondiali si dimette il responsabile dell’Under 21 anziché Giampiero Ventura. No! Oltretutto l’Under 23 dell’atletica funziona e funzionava. Era il sistema in toto che non stava funzionando e Stefano Baldini sarebbe potuto diventare il direttore tecnico successivo. Quelle dimissioni diedero l’alibi a qualcuno e a qualcuna – e apro bene la a – all’interno del consiglio della federazione, per impedire a Stefano Baldini di proseguire in quello che stava facendo. Non so se tutto per merito suo, per fortuna o perché il settore funzionava a prescindere grazie a chi c’era prima, cioè Tonino Andreozzi, ma stava funzionando e l’impressione è che stesse funzionando anche per l’organizzazione che stava dando Stefano Baldini. Quelle dimissioni diedero l’alibi dentro il consiglio direttivo, in particolare a tutte le donne, visto che la parte maschile era pronta a trattare, per liberarsi di Stefano Baldini in maniera definitiva e quindi l’impossibilità di avere un personaggio che io ritengo illuminato, perché è uno che in maniera moderna riesce a vedere la possibilità di buon futuro per l’atletica italiana. L’errore è stato prima parlare alla Gazzetta dello Sport e poi parlare al consiglio federale. Stefano era un po’ seccato perché credeva che Giomi non gli avesse dato sufficiente attenzione, però il presidente aveva anche dei problemi di salute e si era ritirato dando appuntamento a dopo l’estate. Poi Baldini ha rilasciato l’intervista in maniera inappropriata perché non toccava a lui. Vuoi dimetterti perché non ti va più? ok, ma non puoi dimetterti perché la squadra A ha fatto schifo, non c’entri tu, non è una tua colpa”
Parliamo di giovani: se volessi fare un nome, quello di Dalia Kaddari. Cosa ne pensi?
“Be’, lei con Chiara Gherardi fa parte di quella generazione (entrambe hanno anche la fortuna di essere delle belle ragazze), in grado di portare fuori dalle sabbie mobili le staffette e tutto il settore della velocità italiana, non solo in ottica 4×100 ma anche 4×400. Oltretutto, e la cosa può non guastare, dal punto di vista promozionale possono fare da ponte verso un futuro in cui si parli di più di atletica, non solo per i risultati, ma anche per la vita di tutti i giorni; possono fare da pungolo per una promozione. In questo momento l’atletica femminile in diverse parti del paese è per scelta delle ragazze la numero due come pratica, dopo la pallavolo ed anche a molta distanza. Bisogna incrementare anche da questo punto di vista. Sia ragazze che ragazzi”
Leo Fabbri ed Alessia Trost: come li vedi?
“Di Leo Fabbri posso solo essere estremamente ottimista, vedo i progressi importanti di questo ragazzo. Paolo Dal Soglio che su di lui ha sempre manifestato un’idea molto ottimistica, con questo miglioramento della tecnica credo possa essere molto vicino anche ai 22 metri. Sono cose che non avrei mai detto un anno fa, immaginando che i 22 metri sono difficili da raggiungere per un pesista; i progressi che gli vedo fare e le lacune tecniche che gli vedo ancora avere, dicono di un mezzo fenomeno. Alessia deve solo ritrovare sé stessa, secondo me ad andare ad Ancona si è perso tempo, ma non tanto perché non sia un possibile buon allenatore papà Tamberi, semplicemente perché per il suo modo di saltare e di essere precedente, c’è bisogno anche di forza, che invece in quel gruppo di allenamento non viene sufficientemente tenuta in considerazione. Ci sono state una serie di situazioni particolari per lei, anche con Chessa era in una fase di calo, in cui devi capire perché questo calo; se era fisico o psicologico e mentale. Non ho mai visto in un allenamento che esclude la forza, un qualcosa di adatto per Alessia Trost, ora deve ricostruirsi mentalmente e fisicamente, io spero tantissimo sia recuperabile, non ne ho la certezza ovviamente. Tra lei e d Elena Vallortigara si sarebbe su ottimi livelli: anche Elena, era esplosa nel 2018, salvo poi fermarsi di nuovo, per degli infortuni che fanno comunque parte del programma di allenamento, ma non vuole assolutamente essere una critica.
Di tutte le medaglie degli azzurri che hai raccontato, quali ricordi con maggior piacere?
“Be’, due: Stefano Baldini e Fabrizio Mori. Fabrizio Mori per la dinamica del tipo di racconto e narrazione: i 400hs durano meno di un minuto, il modo di correre di Fabrizio in rimonta con un grande rettilineo finale nella telecronaca dava la possibilità di un crescendo a livello di voce e tutto il resto. Stefano Baldini ovviamente ha dato grande soddisfazione, ma quando si è presentato dentro lo stadio aveva già vinto. Questo perché nella metodologia del racconto della narrazione della maratona ci sono tempi e momenti differenti. Il momento clou è stato quando ha raggiunto Vanderlei de Lima con Keflezighi.”
Quale telecronaca ricordi con piacere a livello olimpico o mondiale, escludendo i colori azzurri?
“Michael Johnson ad Atlanta 1996, anche perché quella fu la mia prima edizione da telecronista della Rai. Quello che fece Michael Johnson nei 200 molto più che nei 400 fu sensazionale. Vero che anche Usain Bolt ha fatto vedere delle cose sensazionali, ma il 19″32 di Johnson era molto più inatteso del 19″30 – prima – e del 19″19 – poi – di Bolt. Su Usain c’era solo da interrogarsi quale fosse l’entità del miglioramento. Michael Johnson fece una cosa talmente sensazionale che mi lasciò i brividi in quel momento, per cui l’intensità di quella cosa mi lascia ancora ricordi favolosi.”
Si parla di ripartenza dell’atletica tra giugno e luglio. Sei d’accordo?
“Non lo so, perché è difficile, molto difficile. Oltretutto, ripartenza dove? Sardegna, Sicilia, dove il virus è arrivato e non è arrivato, come? Con che termini? I concorsi sì, le corse di gruppo no, le corse in corsia con una corsia sì e due no. Non sarà semplice, occorre veramente mettersi attorno ad un tavolo. La voglia di tornare a gareggiare c’è, magari con un programma ridotto su scala nazionale, con meeting cui possano partecipare solo atleti italiani o stranieri che vivono in Italia. Francamente non ho la risposta, bisogna sedersi attorno ad un tavolo, Se oggi andiamo a fare un racconto di questo tipo tra le provincie di Bergamo, Brescia e Cremona è un discorso molto difficile. Chiaro che altrove il virus ha lasciato meno vittime sulla strada si può eventualmente pensarci. Tra le altre cose pazzescamente curiose di questo virus è che proprio dove ha lasciato meno il segno come in Basilicata, è rimasto vittima uno degli atleti potenzialmente più forti nella storia dell’atletica italiana come Donato Sabia.”
Il silenzio assordante della Fidal in merito al discorso runner uguale untore è stato visto con un occhio non positivo da parte di tanti. Potevano difendere meglio la categoria atleti?
“Non lo so. Chiaro che il ruolo di un’associazione e federazione è anche quello di rappresentare la categoria. Anche su questo fatto c’è stata una serie di interventi molto all’italiana, nel senso che io non vedo quale tipo di contagio possa dare un nuotatore piuttosto che un runner che si allenano da soli. Quello che ha fatto arrabbiare buona parte della popolazione – e di conseguenza anche il legislatore – è stato vedere masse di ciclisti da 50-60 che andavano a farsi il loro giro di primavera come se fosse una cosa normale. Stesso discorso ovviamente per i podisti. Chiaro che alla fine è stato deciso di chiudere completamente, persino per i professionisti, in maniera anche un po’ sconsiderata, senza usare un po’ di grano di sale e qui probabilmente un minimo di lavoro di lobbing la federazione avrebbe dovuto esercitarlo. Ma lo stesso avrebbe potuto e dovuto esercitare anche lo stesso ministero dello sport. Oggi mi viene da ridere a sentire che ci siano squadre e dirigenze che programmano di tornare a giocare magari a porte chiuse, con sport che hanno decisamente già chiuso da tempo il campionato. Questi mi stanno raccontando che volevano completare entro il 30 giugno la stagione, quando non sappiamo se torneremo a vita normale prima di settembre… qualcuno di loro è veramente uno sciagurato. Addirittura uno scienziato in conferenza stampa si è permesso – facendo la classica battuta da italiano, col fatto che era romanista – di dire che forse era presto per ricominciare gli allenamenti del calcio. A quel punto il portavoce del presidente della Lazio, un giornalista con una storia non esattamente super-partes, gli ha risposto che gli scienziati non devono fare i tifosi. Be’, a me vien da dire anche viceversa. I tifosi non facciano gli scienziati, men che meno quelli di parte, che in linea teorica da giornalisti dovrebbero essere molto più super partes. Come si fa?”
Da Veneto, che pensiero hai sulla Biotekna, la più grande realtà di atletica in regione?
“Io ringrazio a nome di tutto lo sport italiano che esista gente che manda avanti per pura passione o quasi una società come la Biotekna Marcon. Se lo sport di altissimo livello italiano è stato salvato troppo spesso da squadre militari, nel tessuto sociale sportivo è stato salvato da società come la Biotekna Marcon. Ringrazio i Boschiero e tutti quelli come loro, che con le loro malattie – perché queste sono malattie -, con la loro passione che sfiora la malattia portano avanti lo sport italiano e l’atletica non militare.”
La Biotekna ha tanti atleti importanti e di talento: Guglielmi, Borga, Visentin e Camattari sono alcuni di questi…
Guglielmi è un bell’atletino, uno di quelli – attraverso quel gruppo di coetanei – che possono portare a risultati interessanti. Mai esagerare nell’esaltare i ragazzini, però negli atleti di questa generazione, i cadetti del memorial Pratizzoli dove per altro lui si infortunò, da quei ragazzi lì c’è linfa favolosa. A Rebecca manca quel salto di qualità che la porti regolarmente sotto i 53″, e chissà con delle punte sotto i 52″ non sarebbe male. L’atletica è vero che è aritmetica, ma non lo è in maniera regolare. Quante volte si sono aspettati atleti al salto di qualità, che non veniva e poi improvvisamente nel definitivo salto di qualità si sono saltate quelle barriere che si immaginava potessero essere scavalcate per gradi? Per Fabio è un simil discorso di quello per Rebecca. La sua specialità è terribile per ipotesi di infortunio e per l’apprendimento tecnico che ti faccia saltare. Il triplo è una specialità così: per mesi, mesi e mesi resti tra i 15,30 ed i 15,50; poi improvvisamente migliori ed arrivi a 16,30, perché quando fai entrare nello stesso discorso tecnico di apprendimento tanti particolari ed essi vengono automatizzati, c’è un ampio meglioramento. E spero avvenga lo stesso per Fabio. Per Elisa vale lo stesso discorso di Federico, fa parte della stessa annata e categoria di atleti. Tanti ragazzini e ragazzine hanno quelpassaggio dei 15, 16 e 17 anni dove, un po’ l’aspetto della crescita biologica, che l’aspetto dell’interesse anche per altre cose, che possono essere fuori dalla pista e talvolta anche dentro, perché gli affetti molto spesso nascono tra le piste e le pedane, la scuola, lo studio e l’interesse per altre cose ti può portare con la concentrazione verso altro. Poi c’è anche l’aspetto della crescita e del lavoro dell’allenatore e del tecnico: ci sono tante situazioni in cui spesso un talento, che era già sbocciato, non riesce ad arrivare alla piena maturazione per un insieme di queste concause da un punto di vista negativo più che positivo. Mi viene in mente di quante sono le ragazzine di 16,17 o 18 anni che si fanno – spero onestamente sia una cosa del passato – condizionare dall’opinione del fidanzatino o fidanzatone, che dicevano “no dai, basta, ti pare che…”….spero che questo tempo per l’atletica italiana femminile e lo sport italiano femminile sia finito. Si deve stare attenti ai non miglioramenti. Perché quando vai avanti due, tre stagioni e non migliori, rischia di diventare un problema. Ovviamente si deve arrivare a capire da soli che non è sempre automatico il paradigma che porta: crescita della preparazione e delle ore di preparazione uguale miglior risultato tecnico. Spesso c’è bisogno di digerire la cosa per poi fare il salto, ed è anche un peccato smettere prima, quando non immaginavi di poter essere alla vigilia di un bel salto di qualità, che avrebbe dato grandi soddisfazioni. Magari Elisa è molto vicina ad una base di buon lavoro, perché poi è questo che conta oltre al talento. Tanti lavori uno dietro l’altro, possibilmente senza avere infortuni, portano ad un miglioramento. In Biotekna comunque ci sono tecnici preparati, la presenza dei tecnici è fondamentale. Per questo prima parlavo di uno scadimento della media, a causa di tecnici molto bravi costretti ad andare altrove per cercare il giusto guadagno.”
Un ringraziamento a Daniele Morbio per l’intervista.